Quali sono i rischi da valutare nel caso in cui il paziente, che deve sottoporsi ad un intervento di protesi articolare, sia un “paziente scoagulato”?

Il “paziente scoagulato” è una persona che assume regolarmente farmaci anti-coagulanti perchè, a causa di una patologia pregressa, corre il rischio di incorrerere in una trombosi o in una tromboembolia.

Un trombo si sviluppa a partire da un gruppo di piastrine, fibrina e globuli rossi che si aggregano tra di loro in un vaso sanguigno oppure nel cuore: il coagulo che si forma, se assume dimensioni importanti, può andare ad interrompere il flusso sanguigno (trombosi) oppure può dislocarsi in un’altra sede (ad esempio verso i polmoni o verso il cervello) con conseguenze gravissime (troboembolia).

Quando un paziente deve necessariamente sottoporsi ad un intervento chirurgico per una protesi articolare, é di fondamentale importanza eseguire un’accurata analisi anamnestica dei farmaci che é solito assumere.
Alcuni farmaci, lo sappiamo, hanno delle interazioni tra loro che vanno assolutamente evitate: possono verificarsi alterazioni dell’efficacia o, peggio, diventare tossici.

Tra questi farmaci risultano di particolare rilevanza per le loro interazioni nei processi emostatici gli anti-aggreganti e gli anti-coagulanti: hanno l’importante funzione di evitare che si formino i pericolosi coaguli a cui abbiamo accennato all’inizio, mantenendo il sangue più fluido (scoagulato).

Qual’è il problema? Purtroppo il paziente scoagulato è ad alto rischio di avere un’eccessiva perdita ematica durante l’intervento chirurgico proprio perchè la terapia anti-coagulante non limita solo la formazione di trombi, ma interferisce anche con i normali meccanismi di coagulazione fisiologica nella rimarginazione delle ferite.
Gli interventi di sostituzione protesica di anca, ginocchio e spalla sono considerati interventi ad alto rischio emorragico e l’intervento in pazienti che usano farmaci anti-aggreganti e anti-coagulanti deve essere valutato con accuratezza: la gestione del paziente candidato ad una protesi che assume questi farmaci è delicata.

L’assunzione di tali farmaci nel periodo perichirurgico può portare a sanguinamenti eccessivi. Al tempo stesso l’interruzione immediata può portare ad un aumento del rischio trombotico. Per questi motivi è necessario bilanciare il rischio emorragico e trombotico prendendo in esame ogni caso singolarmente, tenendo presente che ogni paziente é diverso dall’altro.

Anticoagulanti e antiaggreganti hanno indicazioni e funzioni diverse.
Gli antiaggreganti in genere sono assunti per profilassi primaria (pazienti con predisposizioni) o secondaria (esiti IMA, stent coronarici, esiti di ictus).
Gli anticoagulanti vengono assunti in caso di fibrillazione atriale, protesi valvolari cardiache, profilassi primaria e secondaria per trombosi venosa.

Nella gestione di questi farmaci in vista dell’intervento è fondamentale conoscere la molecola e i tempi di durata dell’effetto, nonché i tempi di eliminazione dall’organismo.
È importante conoscere la patologia per la quale il paziente assume tale terapia e capire quali siano i rischi di complicanza trombotiche date dalla sospensione.

Perché queste valutazioni siano accurate, si rende indispensabile una stretta collaborazione tra i vari specialisti:

  • il chirurgo ortopedico classifica l’intervento da eseguire in base a rischi emorragico e trombotici
  • il cardiologo fornisce indicazioni riguardo ad eventuali rischi di sospensione
  • il coagulologo specifica le direttive sull’eventuale sostituzione di terapia con farmaci compatibili per le procedure chirurgiche (ebpm) e sul timing chirurgico.
  • l’anestesista valuta i pro e i contro dei vari tipi di procedure anestesiologiche e il rischio operatorio.

In ambito chirurgico sarà compito del chirurgo e dell’anestesista ridurre il rischio emorragico: qesto si ottiene con una particolare attenzione nel controllo del sanguinamento con una meticolosa attenzione chirurgica nella cauterizzazione/legatura dei vasi.

Le tecniche mininvasive risultano in quest’ottica utilissime: riducono il traumatismo dei tessuti molli e, di conseguenza, il sanguinamento, perchè il chirurgo non recide i tendini con il bisturi, ma riesce a raggiungere il sito di impianto protesico articolare scivolando tra un tendine e l’altro, passando tra gli interstizi.
La riduzione delle perdite ematiche, riduce complicanze post-operatorie come gli ematomi, le infezioni, le tumefazioni e la rigidità.
Nei casi in cui il paziente invece, per sanguinamento post chirurgico, è costretto a prolungare la sospensione dalla usuale terapia antiaggregante o anti-coagulante, purtroppo aumenta esponenzialmente il rischio di incorrere in complicanze trombotiche.

Quotidianamente mi trovo ad affrontare problematiche relative all’uso di questi farmaci e ho imparato a gestire le mie procedure adattandomi a queste terapie, cercando di ottenere il minor rischio per il paziente, perchè ogni paziente possa ricevere il trattamento specifico per la sua situazione, frutto di esperienza e di un ragionamento ad personam.