La protesi totale di ginocchio

L’intervento di sostituzione protesica totale dell’articolazione del ginocchio si rende necessaria nel momento in cui il dolore avvertito dal paziente diventa invalidante e limita la libertà personale nello svolgere le attività quotidiane.

Con questo intervento chirurgico vengono sostituiti sia i due condili femorali e la troclea con uno scudo protesico femorale, sia il piatto tibiale. Tra le due componenti protesiche viene interposto uno spaziatore in polietilene per garantire congruità tra lo scudo femorale e il piatto tibiale e per rendere stabile la nuova articolazione.

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Eseguo questo intervento pianificando prima i tagli ossei con software dedicati e valuto attentamente le componenti ligamentose del ginocchio in esame, preventivando la correzione da ottenere, in base all’asse radiografico e clinico dell’arto.

E’ fondamentale ottenere un posizionamento delle componenti che sia il più vicino possibile all’asse meccanico del femore e della tibia, per ottenere un’adeguata distribuzione dei carichi.

Un altro obiettivo che mi prefiggo di ottenere è la perfetta stabilità dell’articolazione in tutti i gradi di movimento, condizione fondamentale per assicurare al paziente di avere una buona confidenza con la nuova articolazione e una lunga durata nel tempo dell’impianto protesico.

La protesi di ginocchio viene eseguita nella stragrande maggioranza utilizzando il cemento che garantisce la fissazione delle componenti all’osso. L’uso del cemento rende fruibile questo intervento anche in pazienti con osso osteoporotico e debole.

Negli ultimi anni utilizzo in pazienti giovani e in pazienti con un osso di adeguata resistenza protesi cementless (senza cemento), cioè protesi che vengono fissate all’osso mediante press-fit (incastro), utilizzando materiali di copertura porosi e simili alle trabecole ossee.

In questa tipologia di protesi si ha una integrazione completa tra osso e protesi, prospettandone una durata maggiore nel tempo.

L’interfaccia osso-cemento e cemento-protesi nel tempo subisce delle alterazioni dovute al degrado del cemento, con possibili allentamenti dell’impianto a medio e lungo termine.

L’utilizzo di protesi non cementate nel paziente giovane e attivo e nel paziente con un osso adeguato a questo tipo di impianto, può portare ad una sopravvivenza maggiore della protesi, con risultati clinici più soddisfacenti per il paziente.

Eseguo l’intervento in circa 60 minuti, in anestesia spinale e blocchi periferici nervosi selettivi, con un accesso chirurgico anteriore e un’artrotomia (apertura dell’articolazione), in genere mediale alla rotula.

La via chirurgica classica, prevede un’incisione prossimale centrata sul tendine quadricipitale, che permette agevolmente di lussare la rotula e avere un accesso ampio all’articolazione.

Esistono però alcune varianti interessanti per accedere all’articolazione:

  • la midvastus incisione: viene lasciato integro il tendine quadricipitale e si esegue un’incisione sul muscolo vasto mediale.
  • la subvastus incisione: viene risparmiato l’apparato estensore e la mobilizzazione della rotula viene eseguita eseguendo una lisi mediale al vasto del quadricipite.

Quest’ultima via chirurgica, la subvastus incisione, ritornata di moda negli ultimi anni, presenta notevoli vantaggi in pazienti normopeso, senza precedenti interventi sull’apparato estensore o di osteotomia.

In casi selezionati può determinare un recupero più veloce della forza dell’apparato estensore e minor dolore nel periodo post-chirurgico, ma con questa tecnica risulta piu’ difficoltosa una eventuale protesizzazione rotulea.

Non si sono dimostrate particolari differenze tra le varie vie chirurgiche a distanza di tempo.

L’intervento viene da me eseguito senza l’uso del laccio quando utilizzo protesi cementless a stabilità primaria, cioè senza l’uso del cemento. 

Nei casi dove devo usare protesi cementate, il campo viene reso esangue nella fase di cementazione per garantire una perfetta e duratura cementazione, ma l’uso del laccio in maniera continuativa può determinare sofferenza muscolare e vascolare e quindi rallentamenti nel recupero e complicanze.

Dopo il posizionamento dell’impianto e le scrupolose prove di stabilità, eseguo la sutura utilizzando fili autobloccanti e antibiotati di nuova generazione, con più strati protettivi continui per garantire diverse barriere contro il rischio di infezione: la sutura del piano cutaneo non avviene più con punti staccati, ma con l’utilizzo di colle adesive cutanee che evitano inestetismi tipici dei punti classici e impermeabilizzano la ferita permettendo lavaggi rapidi della zona.

La riabilitazione inizia dal giorno stesso dell’intervento, con una celere mobilizzazione passiva dell’articolazione: il paziente viene educato al cammino dal giorno seguente all’intervento, garantendo una confidenza e un passo autonomo e fluido in 5/7 giorni.

Il ricovero ospedaliero non viene prolungato oltre i 7 gg, e la successiva riabilitazione viene eseguita in regime ambulatoriale, in genere con 2 accessi settimanali per il primo mese.

In Italia si eseguono circa 100.000 interventi di protesi di ginocchio all’anno: circa il 10 % dei pazienti sottoposti a questo intervento riferisce la persistenza del dolore anche dopo l’intervento; un dolore che solo in pochi casi non è riconducibile ad un quadro specifico, e il più delle volte è secondario a complicanze chirurgiche che si vanno previste e limitate.

L’adeguata preparazione del chirurgo, l’adeguata scelta dell’impianto, il meticoloso planing pre-operatorio, lo studio del paziente, la precisione chirurgica e la pronta riabilitazione specialistica rendono questo intervento motivo di alta soddisfazione per il paziente e per me stesso.